A 400 anni dalla morte del celebre clavicembalista e organista inglese William Byrd, il clavicembalista americano fondatore del Capriccio Stravagante, Skip Sempé, si esibirà in un recital su fantasie, polifonie e danze del noto compositore inglese, contornato da opere di Gibbons, Tomkins e Dowland. Considerato uno dei pionieri del movimento della musica antica, Skip Sempé riscopre e mette in luce un’estetica musicale e una missione artistica che sta scomparendo, ispirando la maggior parte dei musicisti a lui contemporanei.
Orlando Gibbons (1583 – 1625) | The Lord of Salisbury’s Pavan |
William Byrd (1539/40 – 1623) | Qui Passe: for my Lady Nevell Prelude (MB 12) |
Orlando Gibbons | Pavan (MB 17) |
William Inglott (1553 – 1621) | The Leaves be green |
Thomas Tomkins (1572 – 1656) | Pavan of 3 parts |
Anonymous | The Irish Ho-Hoane |
William Byrd | Pavan: Sir William Petre |
Anonymous | Was not good King Solomon |
Thomas Tomkins | A Sad Pavan for these distracted times |
John Dowland (1563 – 1626) | Lachrimae Pavan (trascrizione di Ferdinando Richardson) |
William Byrd | Fantazia MB 62 |
Thomas Tomkins | Pavan: Earl Strafford |
William Byrd | The Galliard for the Victory |
Martin Peerson (1571/73 – 1651) | The Fall of the Leafe |
Ferdinando Richardson (1558 ca.– 1618) | Pavan |
– a cura di Raffaele Mellace
Agisce come una macchina del tempo il clavicembalo questa sera. Ci trasporta in una civiltà dalla cultura raffinata, la stagione, a cavallo tra Cinque e Seicento, dell’Inghilterra retta successivamente da Elisabetta I (1558-1603), Giacomo I (1603-1625) e Carlo I Stuart (1625-1648). Sotto i loro regni – i primi dei quali coincisero con l’attività di William Shakespeare – operarono William Byrd e le tre generazioni di autori dell’antologia di composizioni eseguite oggi: una platea di interpreti-compositori dal valore cospicuo, che vissero, e tradussero in pagine ancora in grado di trasmettere intatte forti emozioni, l’autunno del Rinascimento e l’alba del Barocco.
Non necessita di presentazioni il titolare del concerto, William Byrd, celebrato nel quarto centenario della morte. Cattolico dall’esistenza non semplice nell’Inghilterra elisabettiana ma anche gentiluomo della Cappella Reale, lasciò un segno tanto nella musica da chiesa quanto in quella strumentale, per la quale fu figura innovativa appunto nel repertorio per la tastiera ma anche in quello per il consort di viole, cui si dedicò fino agli ultimi anni, trascorsi lontani dall’ambiente di Corte. Alla stagione più intensa della sua attività risale la raccolta manoscritta My Ladye Nevell’s Booke, datata 11 settembre 1591, che riporta ben 42 composizioni di Byrd, dalla quale questa sera si ascolteranno diverse pagine tra cui Qui Passe: for my Lady Nevell, la Pavan dedicata al cattolico Sir William Petre e The Galliard for the Victory. L’altro nome universalmente noto è quello di John Dowland, il celebre «Orfeo inglese», la cui produzione, dedicata in massima parte al liuto (strumento che visse proprio in quegli anni una vera e propria età dell’oro), ci raggiunge per il tramite d’una trascrizione per tastiera attribuibile al più giovane Ferdinando Richardson. A costui, cortigiano in stretti rapporti con la regina Elisabetta, noto anche come sir Ferdinand Heyborne, è affidato l’onore di chiudere il concerto con una pagina proveniente, come la trascrizione da Dowland e l’anonimo Irish Ho-Hoane, dal fondamentale Fitzwilliam Virginal Book, conservato a Cambridge. Spicca naturalmente, accanto agli autori ai quali queste raccolte, ignare del copyright, non si curano di attribuire un nome, la figura di Orlando Gibbons, prolifico compositore di camera di Giacomo I e organista a Westminster. Né mancano voci meno note, come quella di Martin Peerson, di cui si ascolterà il pezzo caratteristico The Fall of the Leafe, una delle quattro pagine per cembalo di questo autore giunte fino a noi, di grande semplicità e suggestione come The Leaves be green di William Inglott, che nella sua aristocratica sprezzatura contrasta con la complessità di concezione della Fantazia in Sol maggiore MB 62 di William Byrd, che declina una varietà di atteggiamenti espressivi senza negarsi l’intreccio di raffinate trame contrappuntistiche.
Vi sono ovviamente tratti comuni nella produzione di questi “virginalisti” inglesi, chiamati così dal virginale, nome dato in Inghilterra al piccolo strumento, una spinetta, da appoggiarsi sul tavolo o tenersi in grembo, poi riferito generalmente al clavicembalo. Proprio al carattere intimo, delicato ed espressivo del virginale trae infatti ispirazione un repertorio che coniuga candore melodico, modesto ricorso al contrappunto e l’invenzione di fantasiose serie di variazioni (una quindicina soltanto quelle a firma di Byrd) su basso ostinato: musica schiettamente profana, profondamente debitrice verso il mondo della danza, all’insegna di un’ispirazione che attinge al patrimonio folklorico trasformandolo in raffinato intrattenimento cortigiano, riflesso al contempo d’un introverso ripiegamento sulla vita interiore.
E proprio all’auscultazione del mondo interiore è dedicato il concerto odierno, in cui domina incontrastata una delle forme fondamentali di questo repertorio: la pavana. Antica danza lenta rinascimentale, normalmente abbinata alla contrastante, veloce gagliarda, è qui proposta di norma isolata, avulsa dall’epilogo lieto e festoso offerto dalla danza sorella, ad approfondire una specifica corda espressiva. È infatti la malinconia, compendiata in termini icastici dal motto Semper Dowland, semper dolens, la musa ispiratrice di molte di queste pagine, e dunque di fatto dell’intero concerto. Culmine della riflessione introversa e dolente è una pagina memorabile di Thomas Tomkins, l’unico autore di questo gruppo la cui esistenza si spinse oltre la metà del Seicento, in tempo per assistere agli stravolgimenti istituzionali della Gran Bretagna, con la liquidazione della dinastia degli Stuart e la rivoluzione repubblicana del Commonwealth di Cromwell. Proprio la decapitazione di Carlo I nel 1649 sembra abbia ispirato a Thomkins, che alla tastiera dedicò le migliori energie dell’ultimo decennio di vita, la meditazione attonita di A Sad Pavan for these distracted times: riflessione che ben si addice anche ai nostri tempi inquieti.