La XVII edizione di Milano Arte Musica termina il 30 agosto con un gran finale, affidato a un ensemble che si sta distinguendo sempre più per la virtuosa unione dell’amore per la polifonia e il lavoro di ricerca filologica sulle prassi esecutive del tempo: i Biscantores. Con la Missa in Illo tempore di Claudio Monteverdi, capolavoro assoluto della produzione sacra, l’ensemble diretto da Luca Colombo chiude idealmente lo splendido cerchio Monteverdiano aperto nel 2022 con il Vespro della Beata Vergine, dando vita a un’esibizione dai toni estremamente evocativi e di notevole impatto emotivo.
Il concerto sarà preceduto da una conferenza spettacolo a cura del musicologo Daniele Torelli, professore presso Civica Scuola di Musica Claudio Abbado. La conferenza si terrà presso Sala Capitolare del Bergognone e sarà possibile parteciparvi prenotando il proprio posto sulla piattaforma Eventbrite.
Tarquinio Merula (1595 – 1665) | Toccata e Genius cromaticum |
Claudio Monteverdi (1567 – 1643) | Kyrie – Christe – Kyrie Missa “In illo tempore” a 6 voci e Basso Continuo Gloria in excelsis Deo Laudate Dominum in Sanctis ejus Credo in unum Deum Ego Flos Campi |
Tarquinio Merula | Canzona V |
Claudio Monteverdi | Sanctus Missa “In illo tempore” a 6 voci e Basso Continuo Salve Regina Agnus Dei Litanie della Beata Vergine |
soprano I | Carlotta Colombo |
soprano II | Carolina Intrieri |
alto | Elena Carzaniga |
tenore I | Roberto Rilievi |
tenore II | Niccolò Perego |
basso | Alessandro Ravasio |
soprani | Carlotta Colombo, Carolina Intrieri, Vera Milani, Noemi Borsa, Emma Brambilla, Chiara Brambilla, Miriam Frigerio, Chiara Rebaudo, Orla Shaloo Brundrett, Silvia Vertemara |
alti | Elena Carzaniga, Edvige Brambilla, Monica Fumagalli, Camilla Novielli |
tenori | Roberto Rilievi, Niccolò Perego, Giorgio Bonafini, Davide Colnaghi, Davide Nicolussi, Gianluca Origgi |
bassi | Alessandro Ravasio, Alessandro Marchesi, Alessandro Sosso |
viola da gamba | Luciana Elizondo, Marco Casonato, Anais Lauwaert, Rosita Ippolito |
arciliuto | Giangiacomo Pinardi |
organo | Davide Pozzi |
direzione | Luca Colombo |
– a cura di Raffaele Mellace
Il concerto odierno apparecchia una celebrazione sontuosa nella forma di un’esplosione di vitalità che offre una sonora smentita a ciò che normalmente associamo alla musica chiesastica. Traliccio portante della serata è la composizione che le presta il titolo, partitura più che mai ambiziosa. Monteverdi diede alle stampe la Missa da capella a sei voci, fatta sopra il motetto “In illo tempore” del Gomberti insieme al più celebre Vespro della Beata Vergine nel 1610, l’anno in cui moriva il Caravaggio, nella Venezia capitale dell’editoria musicale di cui si è detto per lo scorso concerto, presso lo stampatore Ricciardo Amadino, che l’anno prima gli aveva pubblicato L’Orfeo e da quasi vent’anni proponeva la produzione sempre nuova dei madrigali. Venezia sarà l’approdo definitivo del futuro maestro della cappella ducale di San Marco; per il momento Monteverdi è però al servizio del Gonzaga a Mantova, ed è in quest’ultimo frangente biografico che andrà individuata la genesi del lavoro. Il servizio a Mantova, oneroso e mal retribuito, dopo vent’anni iniziava a stare stretto a Monteverdi, che si guardò intorno. La visita di papa Paolo V a Mantova nel 1607, l’anno dell’Orfeo, potrebbe avergli suggerito una strada, non senza analogie con quanto avrebbe fatto un secolo più tardi Bach con la Messa in si minore. Il 26 luglio 1610 il vicemaestro Bassano Cassola segnalava che «Il Monteverdi fa stampare una messa da cappella a sei voci di studio et fatica grande, essendosi obligato maneggiar sempre in ogni nota per tutte le vie, sempre più rinforzando le otto fughe che sono nel motetto “In illo tempore” del Gomberti e fa stampare unitamente ancora di salmi del vespero della Madonna […] con pensiero di venirsene a Roma questo autumno per dedicarli a Sua Santità». Effettivamente, Messa e Vespro uscirono con dedica a Paolo V, benché il viaggio a Roma si traducesse in un nulla di fatto professionale (come sarebbe accaduto anche a Bach).
«Di studio et fatica grande»: la definizione di Cassola coglie perfettamente la sfida che, nell’intreccio tra perizia tecnica e ambizione artistica, la Missa “In illo tempore” rappresenta. Monteverdi trasse dal mottetto del fiammingo Nicolas Gombert, morto verso il 1560, dieci soggetti che costituiscono gran parte del materiale tematico della messa, impiegati a più riprese e sottoposti, con intento evidentemente dimostrativo, a tutti gli artifici del contrappunto. Ad esempio il primo di tali soggetti compare in apertura del Kyrie, in quattro sezioni del Gloria, in tre del Credo e in quella conclusiva dell’Agnus Dei. Ne deriva una partitura ricchissima di atteggiamenti espressivi contrastanti: l’avvio luminoso del Kyrie, il contrappunto complesso del Gloria, coronato da una conclusione energetica, a gareggiare con il «Confiteor» del Credo, la superficie sonora traslucida e incantatoria dell’Osanna, fino a quell’Agnus Dei che ancora nel 1774 padre Martini additava come modello dell’«arte del contrappunto», la più appropriata nell’«eccitare nell’animo degli ascoltanti affetti di devozione […] verso l’infinita maestà di Dio».
Completa questa celebrazione solenne una serie di pagine vocali e strumentali. Queste ultime propongono la vitalità della scrittura, pseudo-improvvisativa o contrappuntistica, dell’irrequieto Tarquinio Merula, come Monteverdi nativo di Cremona, dove operò, come anche a Lodi e Bergamo, in un continuo mulinello di incarichi che lo portò fino a Varsavia, dove fu «organista di chiesa e di camera» di re Sigismondo III. Fu però a Venezia che Merula pubblicò tra il 1615 e il 1651 quattro libri di canzoni strumentali, presentandosi, nella prefazione del primo, in questi termini: «S’ applicò l’autore alla composizione musicale e al suono dell’organo fin da’ primi anni, e questa opera fu il suo primo parto, dichiarandosi egli novello compositore». Ma sono soprattutto altre quattro pagine monteverdiane a completare l’offerta spiritual-musicale, offrendo una meravigliosa varietà stilistica che compensa l’arduo stile antico della messa con il versante più moderno rappresentato dal ricorso alla voce sola o dalla scrittura più cordialmente omofonica delle Litanie, tenendo sempre al minimo, il basso continuo, l’apporto strumentale. Pubblicate rispettivamente nel 1620 (le Litanie), nel 1624 in cui si ascoltò il Combattimento di Tancredi e Clorinda (Ego flos campi), nel 1629 (il Salve Regina), infine nella Selva morale e spirituale, 1640 (il Laudate Dominum e ancora il Salve Regina), queste pagine piegano la scrittura melismatica del canto solistico all’eccitazione della lode (il Laudate Dominum), a dolcezza estrema (Ego flos campi), all’intensità della supplica (la perorazione finale del Salve Regina), declinando l’emozione del sacro attraverso gli affetti più diversi.